Gli studenti del plesso “Mangano” hanno incontrano la fondazione Fava e il Teatro di Città per riflettere sul giornalista ucciso dalla mafia
Catania. A volte il teatro ha il nobile compito di scendere dal palcoscenico per raggiungere le aule di un istituto e far riflettere. Far riflettere, con i suoi strumenti, su problematiche di ieri, oggi e, purtroppo, di domani. Si è tenuto all’istituto “Marconi-Mangano” di Catania un incontro-spettacolo dal titolo “Maffia” organizzato dal Teatro di Città in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Fava. Obiettivo? Non abbassare mai la guardia e, soprattutto, non rassegnarsi mai alla mediocrità.
“Credo che affrontare l’argomento mafia in modo diverso, sottoforma di spettacolo teatrale – ha esordito Simona Minicò, docente e collaboratrice del dirigente del plesso “Mangano” – sia una grande occasione per tutti noi. Ci conferma il fatto che imparare cosa significhi rispetto nella vita sia alla base di ciò che la scuola debba insegnare”.
“Il teatro dovrebbe essere una disciplina da inserire nel piano dell’offerta formativa di ogni istituto – ha commentato Orazio Torrisi, direttore del Teatro di Città – perché ci offre la possibilità di riflettere su fenomeni quali quello mafioso che attanagliano la società non solo nazionale ma mondiale. Verità e coscienza dovrebbero essere, quindi, punti fermi della didattica e noi con il nostro contributo vogliamo solo lanciare a voi studenti un monito a non accettare le brutture sociali”.
Un susseguirsi di spunti tratti da opere di diversi autori siciliani magistralmente interpretati dagli attori del Teatro di Città. Da Sciascia a Tomasi di Lampedusa, da Fava a poeti anonimi. Ad inaugurare il viaggio letterario è stata la lirica “Lamento per il sud” del poeta siciliano Salvatore Quasimodo. E poi, Sciascia con “Il Giorno della civetta” e Tomasi di Lampedusa con quel sonno narcotizzante siculo tanto amato e odiato da don Fabrizio ne “Il Gattopardo”. Un sole che, però, non deve mai smettere di splendere, di fare luce sulla nostra memoria.
“Giuseppe Fava – ha commentato Maria Teresa Ciancio, vicepresidente della Fondazione Fava – rappresenta un uomo dalla spiccata curiosità intellettuale. Dipingeva, scriveva per il teatro, curava inchieste giornalistiche. Dopo la sua morte, ad un certo punto, nella nostra città si stava tentando di commettere un nuovo delitto: ucciderlo una seconda volta cancellando la sua memoria. A questo punto la figlia di Giuseppe, Elena, ha deciso di istituire una fondazione in nome del padre per non dimenticare la sua lezione e il fatto che un popolo senza memoria è condannato a rimanere servo. Durante gli incontri lei invitava gli studenti a non considerare uomini come Giuseppe Fava degli eroi in quanto ciò si trasforma spesso in pretesto per voltare le spalle, navigando nell’indifferenza”.
di Siana Vanella